non ci scriviamo molto spesso io e te. Penso di non averti mai (o quasi mai) scritto una letterina sotto le feste, né tantomeno ti ho chiesto qualche dono speciale.
Beh oggi, all'età di 28 anni e qualche mese, mi faccio vivo.
Ho una richiesta da farti, nulla di troppo grosso, nulla di troppo pesante, nulla di troppo costoso. Nulla di irrealizzabile, insomma. Mi piacerebbe avere qualcosa che in questi anni non ho mai potuto avere, ma che ho sempre desiderato.
Ebbene sì, qualcosa che bramo da sempre, e che secondo me è giunto il momento di poter ricevere.
Caro Gesù Bambino, tu che tutto puoi, tu che sei generoso con tutti e non fai distinzioni di genere, razza, nazione,... fai sì che, finalmente, quest'anno sotto l'albero io possa trovare la certezza di poter fare (o ricevere) una chiamata telefonica senza essere scambiato per mia madre o per la sig.ra Trosi.
Te ne sarei eternamente grato.
In fondo non chiedo molto, e soprattutto, se il mio desiderio verrà esaudito, non chiederò più nulla.
Il Cielo d'Irlanda è un singolo di Fiorella Mannoia estratto dall'album I Treni a Vapore pubblicato nel 1992 dalla Epic Records con distribuzione Sony Musiy Entertainment.
Il brano è stato scritto e composto da Massimo Bubola, che nel 1994 lo inserisce nel suo album Doppio Lungo Addio. Nella canzone si sentono le sonorità tipiche dei fiddle e whistle, così come le atmosfere danzerecce dell'isola irlandese. Bubola è riuscito a rendere ancora più vivo quel cielo che, imperterrito, ti segue da Dublino fino al Connemara e dal Donegal alle isole Aran, che tu sia zingaro o sera.
È il 15 di agosto e in quel di Brione Verzasca è ormai tradizione, probabilmente secolare, quella di accompagnare con una festa di paese l'Assunzione in Cielo di Maria. Il tutto prende vita nella chiesa a lei dedicata.
Piccola, accogliente, leggermente oscura, spesso e volentieri poco piena. I banchi si riempiono a stento, servono il gruppo Vestiti Tradizionali della Verzasca e la Corale Fonteviva per farlo.
Si dà il via ai festeggiamenti con una funzione di breve durata. Ritorna il famoso drago rosso dalle sette teste, dalle dieci corna e dai sette diademi (“Dal libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo” - Ap 11, 19a; 12, 1-6a.10ab) e si rende visita alla casa di Zaccaria e alla moglie Elisabetta (“Dal vangelo secondo Luca” - Lc 1, 39-56).
Dopo la celebrazione, una breve pausa pranzo in quel de La Motta e poi via di nuovo alle volte di Brione.
È qui, e ora, che accade la magia.
Sono i vespri del pomeriggio la vera chicca della giornata. È qui che una comunità di normalissime persone si rivela un insieme canoro di notevole ricchezza e fattura. La gente si inventa Contralto, Basso, Soprano e Tenore con notevole successo.
Per chi non lo sapesse: i vespri sono un'antica forma della liturgia cattolica per la quale l'ufficio viene cantato in forma solenne. Dalla prima all'ultima parola (eccezion fatta per le lettura di rito) vengono espresse in forma musicale, e tutti, dico tutti, sono autori e interpreti.
Apice della celebrazione è il canto delle celeberrime Litaniae Lauretanae che accompagnano la Vergine in giro per le strade del paese e precede l'ostensione della reliquia (e che qui vi riporto in una registrazione fatta sabato 15 agosto 2015).
Questa composizione della durata di quasi nove minuti – ripresa più volte da compositori come Palestrina, Lasso, Monteverdi e successivamente musicata anche da Mozart in una versione per quattro voci, orchestra e organo – musicalmente presenta il carattere di un recitativo che si sviluppa su una breve formula sillabica, ripetuta per una ventina di strofe, o poco più.
Il collettivo entra lentamente nel brano, bisogna scrollarsi un po' di ruggine di dosso (verosimilmente questo brano è stato cantato per l'ultima volta, con questo organico, proprio in occasione della festa dell'anno precedente). L'inizio è titubante e anche piuttosto stonato. Poi ognuno trova il suo spazio, libera la sua voce e la sua interpretazione... e il risultato è emozionante, soprattutto se si ha l'occasione di sentirlo dal vivo sulla propria membrana auricolare, mentre si partecipa cantando.
I vespri non sono nient'altro che il sentimento di comunità tradotto in musica. Tutti fanno parte di un collettivo e condividono un momento importante della propria vita. E nonostante tutto si sta un po' meglio. A conferma di tutto ciò, un esempio, tratto dal libro "Perché ci piace la Musica" di Silvia Bencivelli (Sironi Editore, 2012 - pag. 139)
[...] Robin Dunbar, dell'Università di Liverpool, ha misurato i livelli di endorfine - ormoni simili alla morfina prodotti nel cervello e capaci di alleviare il dolore e di dare un senso di appagamento - nei fedeli di una chiesa anglicana. Ha scoperto così che la produzione di queste sostanze aumenta nel corso della funzione religiosa, soprattutto dopo il canto degli inni. L'idea di Dunbar è che il fenomeno sia legato alla capacità della musica di permettere la socializzazione tra individui, anche in situazioni difficili, e quindi la sopravvivenza del gruppo.
Purtroppo, parlando con alcuni degli artefici di Brione, è emerso che questa splendida tradizione è una di quelle in via d'estinzione. Momenti comunitari come quello descritto qui sopra, sono sempre meno presenti nel vivere quotidiano. Alcuni paesi della valle hanno già visto svanire queste beltà.
Con i miei famigliari, i miei fratelli ed amici cercheremo di tenere viva quella di Brione. Speriamo che questa idea sia condivisa... e che il patrimonio culturale venga salvaguardato.
"Non vedere con gli occhi": detta così sembra alquanto strana come
affermazione, ma vi assicuro che tutto è assolutamente possibile. Mi
è stato spiegato da Marco, che all'età di quarant'anni ha perso, in
pochissimo tempo, la vista. Gli occhi, l'organo sensoriale che alle
nostre latitudini è considerato il più importante di tutti
(statisticamente occupa l'80% dell'attività sensoriale), svanito nel
giro di un anno. Marco è stato forte, nonostante due anni e qualche
mese di difficoltà causata dal repentino cambio di situazione, è
riuscito a reagire. Grazie ai figli, alla moglie, alla voglia di
vivere, sempre e comunque.
Marco vede la strada da percorrere
grazie Unja, la sua cagnolina guida, o con il suo bastone
bianco dalla punta rossa, oppure con il gomito di qualcuno che gentilmente lo accompagna, oppure ancora con tutte e tre le cose.
Marco vede gli incroci con la pelle,
un'aria diversa gli colpisce le guance quando non ci sono
muri a difenderlo.
Marco vede con le orecchie, quando
rimpie un bicchiere d'acqua, sa che quando il suono si fa acuto di
spazio non ce n'è più: è la legge della cassa armonica (spazio
grande, suono grave; spazio piccolo, suono acuto).
Marco vede con la punta delle dita
quando qualcuno gli dà una banconota, mica vuole essere fregato.
Marco vede con il naso, quando si trova
all'interno o all'esterno i profumi sono diversi.
Marco vede con la sintesi vocale del
suo computer o del cellulare quando scrive un email o riceve un sms.
Marco vede con il cuore.
Marco è forte e mi ha confermato che vivere è bello, anche se a volte è un po' meno facile. La vita vale più di ogni altra cosa, me lo ha insegnato in
poco meno di una giornata. E lo ringrazio.
Vi consiglio un incontro con lui. Lo
trovate in internet e via telefono. Abita a poschiavo, ma si fa
volentieri mille mila chilometri pur di portare la sua testimonianza.
C’era una volta domani. Adesso non c’è più. C’è un altro giorno che chiamano
domani, ma domani non c’è più.
Domani è diventato ieri, o l’anno scorso, e così
diventando non è più lo stesso. E un po’ come un bravo bambino che diventa un ladro
di polli: non è più lui, ormai è un altro.
Domani era una bella giornata di sole. Ci si alzava presto al mattino e ci si sentiva
pieni di energia. Si correva fuori e si facevano quattro salti nel prato, poi dentro
ancora per una bella doccia e una buona colazione. Davanti al caffelatte fumante si
parlava dei programmi della giornata: c’erano spese da fare dopo la scuola, amici da
vedere e la sera una partita molto importante per televisione. Alla nostra squadra
bastava pareggiare per andare in finale; così gli altri dovevano attaccare e attaccando
si sarebbero scoperti...
Io ero affezionato a domani. Ogni tanto un giorno così ci vuole: ti mette di buon
umore e il sorriso ti rimane dentro a lungo, come una fiamma che ci mette un po’ a
spegnersi.
Adesso domani non c’è più: è diventato ieri, o l’anno scorso. E non è più lo stesso:
quando domani è diventato ieri pioveva e non si poteva andare fuori e nessuno aveva
voglia di parlare e la nostra squadra ha perso cinque a zero. Gli altri dovevano
attaccare e lo hanno fatto.
Adesso c'è un altro giorno che chiamano domani, e qualcuno dice che questo
giorno c’è il sole e si può andare fuori e la partita la vinciamo. E forse è vero, ma a
me quest’altro giorno non interessa; anzi, non so perché lo chiamano domani.
Domani non c’è più: è diventato ieri, o l’anno scorso.
- E. Bencivenga, Filosofia in quarantadue favole -